giovedì 21 aprile 2011

La Caduta Di Garadur

L’aria gelida penetrava attraverso la finestra annunciando l’inizio di un nuovo giorno… un giorno che porta solo false speranze e un inutile orgoglio.

Mi alzai dal mio letto a baldacchino come ogni mattina, ma questa non era come le altre, era la mia ultima mattina. L’ultima volta che avrei potuto sentire l’odore dei tulipani provenire dal cortile della mia fortezza, l’ultima volta che avrei potuto ammirare il ritratto della mia dama, deceduta per la vile lama di un mio nemico, lama che ho usato io stesso contro di lui una volta strappata dalle sue mani, sporche del puro sangue di Christine. Poche ore prima che io possa rivedere il suo angelico viso.

Un menestrello nel verde cortile suona una melodia degna di tale giornata, un suono lento ed energico allo stesso tempo pervade ogni sala del palazzo trasformando ogni momento in una marcia verso la fine.

Vedo le mura che mi hanno accolto e protetto cedere, come schiacciate da un invisibile peso, peso che affligge il mio cuore e il mio popolo.

La gente ingenua, con le proprie faccende, molti fuggiti ma molti rimasti, devoti ad un re che non ha più la forza di tirar su la propria arma, mosso solo dalla voglia di proteggere i suoi sudditi fino alla fine dei suoi giorni.

Seduto sul mio letto contemplo la mia armatura, splendente come non mai, ultimo bagliore di luce prima che venga macchiata del mio stesso sangue.

Lo stemma di un lupo, su di essa, mi fissa minaccioso come se volesse anch’esso sbranarmi per il destino in cui sto andando incontro spavaldo.

Dalla torre di segnalazione un fuoco si accende, l’odore acre del fumo pervade le mie narici dandomi la forza di alzarmi.

Il nemico è vicino, il nero mietitore mi poggia una mano sulla spalla in attesa di portarmi via con se.

La mia serva mi raggiunge con uno sguardo rassegnato. Con un gesto della testa la ringrazio di essermi ancora accanto, fino alla fine di Garadur, la nostra casa.

Indosso la mia armatura e con un passo coraggioso mi dirigo nella sala maestra dove il mio esiguo esercito mi attende.

Alla vista della corona i miei uomini si sentirono rincuorati e con le spade sguainate verso l’alto urlarono “Per Garadur, e per il possente Lupo, che possa banchettare con le carni del nostro invasore”.

Il mio scudo splende di fronte al mio energico popolo, ormai davanti alla grande porta del castello, il tremare dei cavalli in lontananza sembra avanzare, la terra trema sotto i possenti zoccoli del nemico che non avremmo mai dovuto sfidare.

La porta si aprì con un possente cigolio, e piccoli rivoli di polvere uscirono dalle giunture.

In lontananza le truppe si stagliavano come una grande linea nera… eravamo ormai in battaglia, il mio pugno di uomini contro gli enormi battaglioni nemici.

Non avevamo scampo.

Con la poca forza nella voce rimasta dissi “Forse quest’oggi non usciremo da questa battaglia, forse le nostre famiglie piangeranno le nostre vite che aleggiano nel vento, ma la nostra gente crede nella nostra forza e nel nostro coraggio! Io non lascerò che i nemici uccidano i nostri cari, con tutte le mie forze, anche dopo la morte, perseguiterò le loro anime! Siete pronti uomini? Oggi sfideremo la morte in persona! E Gli strapperemo via la falce dalle mani!”

Con un urlo soddisfatto i miei uomini diedero un colpo ai loro cavalli, e in pochi minuti ci trovammo a cavalcare verso una battaglia di cui si conosceva già l’esito. Ma noi avremmo resistito fino alla fine della nostra vita.

Il rombo dei cavalli risuonò come una marcia funeraria verso l’inevitabile.

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